La frisa, o frisella, salentina è sicuramente uno dei prodotti tipici del Salento. Chi ha avuto la fortuna e l’onore di passare qualche giorno in questa località, tra le più belle d’Italia, l’ha amata al primo assaggio. Si tratta di una prelibatezza fatta con ingredienti semplici e poveri, ma dalla preparazione non proprio facile se non si è abili in cucina. In ogni caso si può tentare e replicare tra le mura domestiche questa specialità gastronomica per ritornare quando si vuole, almeno con la mente, tra le bellezze del Salento.
Cosa tratteremo
Le origini e la storia della frisa salentina
La leggenda rimanda ad una storia molto antica nel tempo, dal momento che si parla di frisa già ai tempi di greci e micenei; questi utilizzavano la frisa come variazione del pane, perché era perfetta per i lunghi viaggi, visto che si conservava più a lungo. Per la stessa ragione, è stata per molto tempo il pasto dei contadini, dei pastori e dei pescatori che, per lavoro, restavano fuori casa tutto il giorno. Per le classi più povere era senza dubbio migliore del pane, dato anche il costo più basso rispetto alle pagnotte tradizionali; oltre alla durata di conservazione che la rendeva commestibile per più giorni.
La frisa, inoltre, viene definita il ‘pane dei crociati‘; sembra infatti che venisse consumata proprio durante le lunghe spedizioni in Terra Santa a partire dai porti di Otranto e Brindisi.
Sicuramente è ancora oggi un prodotto apprezzato sia dai turisti che dalla gente del luogo; tanto che a Nardò, nel mese di giugno, si può assaggiare nelle versioni più tradizionali o originali in una sagra dedicata totalmente alla frisa.
La preparazione casalinga della frisa salentina
La frisa viene consumata in tutta la Puglia, ma quella salentina risulta diversa per la forma un po’ più piccola e lo spessore.
In origine veniva composta con la farina di grano duro, ma era facile trovarla anche di orzo o con un miscuglio delle due. L’impasto è formato da farina, acqua e sale, lavorato proprio come il pane, ma con un 10% circa di acqua in meno. Indispensabile per la lievitazione è il lievito madre, con una dose di 200 g per ogni chilo di farina; con la stessa dose oggi si può usare il lievito di birra. L’impasto deve essere lavorato abbastanza a lungo per poi essere diviso in pezzi più piccoli da spianare e arrotondare con un diametro di circa 10 cm.
Sembra che la ricetta originale avesse un buco al centro per facilitarne il trasporto, legandone insieme molte con dello spago. Su questo c’è ancora un forte dibattimento; l’unica cosa certa è che, con o senza buco, le frise devono essere cotte in forno due volte.
È necessario che stiano inizialmente venti minuti in forno statico a 220 gradi; in seguito devono essere spaccate in due, seguendo una linea orizzontale, e poi infornate per altri quaranta minuti a 150 gradi. Devono risultare belle dorate, buone e croccanti, pronte per essere gustate anche calde appena sfornate.
Si possono conservare per giorni e, data la loro consistenza piuttosto dura, devono essere assolutamente bagnate prima di essere condite e mangiate.
Il condimento che cambia col tempo
La versione tradizionale vuole come principale condimento delle frisa salentina il pomodoro, semplicemente con del buon olio extra vergine di oliva e un pizzico di sale.
Attualmente comunque se ne trovano versioni per tutti i gusti e i palati; con formaggio e verdure di stagione, tonno e capperi, con ingredienti di alta qualità per vegetariani e vegani. È possibile trovarne versioni anche molto ricercate per andare incontro a tutte le esigenze e ai gusti più particolari. Si possono quindi condire a proprio piacimento e possono essere consumate negli aperitivi, accompagnate da un buon bicchiere di vino; ma anche come piatto unico sfizioso e nutriente, soprattutto durante la stagione estiva.
Da poco, inoltre, si inizia a considerare la frisa anche nella versione dolce; bagnata con acqua e zucchero e farcita con golosa crema pasticcera, alla nocciola o con pistacchio. Non sappiamo cosa ne pensano i tradizionalisti, ma la bontà non può che essere assicurata.